In occasione della Giornata Mondiale della Fisioterapia condividiamo i contributi di due nostri collaboratori: Michele Puleio, fisioterapista presso il centro Diurno Disabili San Giuliano di Alessandria e di Chiara Molinari psicomotricista presso la RSD Padre Crespi di Legnano.

 

Contributo di Michele Puleio 
Fisoterapista Centro Diurno Disabili San Giuliano

Il percorso fisioterapico in un quadro di disabilità si compone di diversi elementi fondamentali: ascolto, concretezza e pazienza.
Innanzitutto, il progetto terapeutico è diverso da individuo a individuo, indipendentemente dalla patologia. Anche patologie simili, o addirittura identiche, possono aver bisogno di approcci completamente differenti.

Ascolto

Per questo l’Ascolto.
Perché spesso, la riuscita, o anche solo l’approccio al trattamento, dipende esclusivamente dal rapporto che si riesce a stabilire con la persona. Nel lavoro fisioterapico, nonostante ci siano vari protocolli da rispettare, è importante far apprendere, conoscere e accettare al paziente il lavoro che si andrà a fare. Personalmente, esclusi i casi in cui la comunicazione è eccessivamente difficoltosa, propendo per una “stesura comune” del progetto fisioterapico, ovvero si decide insieme su cosa si andrà a lavorare, anche a seconda di particolari esigenze, dei bisogni di quel momento o di una idea di miglioramento futura di un certo tipo.

Concretezza

Ed ecco entrare in gioco il secondo elemento, la concretezza: un percorso fisioterapico si basa anche su determinati protocolli terapeutici ma non necessariamente questi vanno applicati alla lettera senza modifiche e senza tenere conto della persona che si ha davanti. L’obiettivo può risultare chiaro ad entrambi ma il modo in cui si arriverà a quel risultato è ogni volta differente, più o meno complesso. Lavorare con le disabilità vuol dire far fronte a mille variabili in più, dove non ci si può basare esclusivamente sul problema fisico.
Il paziente disabile non è una macchina da aggiustare, è un essere umano che ha bisogno di scoprire e Ri-scoprire determinate agilità.

Per questo motivo il progetto riabilitativo non può basarsi esclusivamente sul recupero muscolare, articolare o del range di movimento di un’articolazione, ma sul raggiungimento di una nuova abilità, o di una capacità che si è persa. Credo che l’obiettivo primario sia sempre focalizzarsi sullo sviluppo di una sempre maggiore autonomia, la quale avrà immediatamente riscontri positivi dal punto di vista mentale e psicologico, permettendo, in questo modo, di spostare l’asticella sempre più in alto.

Alcuni esempi di obiettivi concreti possono essere i seguenti: vestirsi da soli, autonomia nei movimenti (sia con ausili o senza), mangiare da soli, recupero della manualità fine (i cui benefici sono ovviamente tantissimi), recupero, ove possibile, della pratica sportiva e ludica (riuscire a “fare canestro”, a tenere in mano una palla o riuscire a disegnare sono attività che permettono di tornare a quella socialità che spesso la patologia rischia di cancellare totalmente).

Pazienza

Ultimo tassello fondamentale: la pazienza. Non soltanto, come viene naturale pensare, da parte dell’operatore, ma da entrambe le parti. Ogni disabilità rende il lavoro fisioterapico – e anche quello puramente relazionale – estremamente più lento e ci si imbatte spesso in frustrazioni dovute principalmente al non vedere i progressi in un tempo breve. È un lavoro certosino, costruito sulla reciproca fiducia e sul nutrirsi ogni giorno di quegli impercettibili passi avanti di cui normalmente non ci si accorge.

 

 

Contributo di Chiara Molinari 
Equipe riabilitativa RSD Padre Crespi di  Legnano

Lo scopo della fisioterapia con un disabile

La fisioterapia racchiude, in una visione generale, l’idea di un corpo che deve recuperare alcune funzioni compromesse: un menisco lesionato, una spalla operata, una persona che deve ricominciare a camminare dopo un lungo infortunio. La riabilitazione racchiude l’aspettativa di un ritorno alla funzionalità o comunque di conservazione delle funzioni residue.

Le parole che affiorano per prime sono movimento, autonomia; il rischio è di ridursi ad un meccanismo di causa-effetto; sintomo, causa, terapia riabilitativa, soluzione.

In un mondo in cui la parola d’ordine sembra essere sempre velocità ed efficienza, che spazio si dà alla mancanza e alla menomazione? Quale lavoro sulla funzionalità si può prospettare in una casa abitata da persone con una disabilità grave, in alcuni casi gravissima e permanente? Forse questo richiede un progetto più grande, una mente più ampia, che vada oltre la soluzione del “problema”, un cambio di prospettiva da parte dell’operatore. Cosa accogliamo e cosa possiamo restituire?

L’ impostazione mentale del fisioterapista in luoghi come il nostro deve scardinarsi, deve allargarsi, deve impiegare altre risorse, perché dove il corpo non arriva per disabilità, può giungere lo sguardo, il suono, la voce. Non si può chiedere loro l’esecuzione precisa del gesto, ma stimolare in loro la forza di tentare, almeno fin dove il corpo lo consente. Il disabile ha una menomazione fisica o mentale, ma sviluppa una tempra e una capacità di sopportazione al disagio e anche, perché no, al dolore, che dovrebbe per noi essere sempre e solo fonte di insegnamento.

Un percorso lungo fatto di piccoli passi

Ogni ospite ha diritto al cosiddetto Programma Riabilitativo Individuale. Quella che può sembrare una definizione molto asettica, molto tecnica, in realtà racchiude la chiave per entrare soprattutto nel mondo della riabilitazione rivolta ai disabili. La parola più importante è proprio “individuale”.

Poniamoci in ascolto e in osservazione, facciamo in modo che la riabilitazione del disabile sia un processo circolare, che parte da loro, dalla loro condizione fisica e mentale, che è diversa e unica da tutte le altre, e che quindi merita una soluzione che preservi il loro schema fisico e mentale. Preserviamo l’individualità e l’unicità di ognuno di loro: togliamo al famoso PRI (Progetto Riabilitativo Individuale) quel connotato tecnico e asettico, imbeviamolo di unicità e relazione.

I nostri ospiti non cambiano, tendenzialmente sono sempre gli stessi, salvo poche e rare eccezioni, qualche dimissione, qualche nuovo ingresso, ma per la maggior parte questo luogo di lavoro è una casa per chi ci vive. Il nostro impegno in primis deve essere rivolto a far sì che la vita in questa casa sia il più possibile semplice e confortevole, perché la vita di un disabile è già costellata di una quantità di difficoltà, che il “privilegiato normodotato” non avrebbe la forza di tollerare su se stesso per oltre un mese.

Trattiamo schemi corporei modificati, frutto della malattia e degli eventi della vita. Dobbiamo lavorare per piccoli guadagni, per piccoli cambi di traiettoria, per tentativi, per insuccessi e piccole conquiste, fatte di piccolissimi passi, che, sommati uno all’altro, fanno un traguardo, seppur trascurabile ma sempre un traguardo.

Fiducia, complicità, relazione e risate

Qui da noi la fisioterapia e la riabilitazione, paradossalmente sono sviluppati all’ennesima potenza, trovano luogo ed espressione dappertutto: nella possibilità di mangiare impugnando una forchetta con le proprie mani, nella possibilità di deglutire, quando il tuo corpo fatica a farlo, nella possibilità di alzarsi da un letto da soli…Non si deve dare nulla per scontato, ogni singola azione per loro è una grande conquista, una richiesta di aiuto in meno, un barlume di autonomia in una vita di dipendenza.

La palestra del fisioterapista, in struttura, si popola di persone che “non faranno mai gli esercizi insieme”; la meraviglia è proprio che li faranno tutti in modo diverso, con modi e tempi unici e personalissimi, guardandosi e comunque riconoscendosi come un insieme, fatto di sguardi, sorrisi, tempi vuoti e attese che fanno gruppo.

Non insegniamo, ma proponiamo, suggeriamo, e soprattutto impariamo da loro come aiutarli.

Fisioterapia e riabilitazione: qui dentro si arricchiscono di significati, diventano fiducia, complicità, relazione, speranza, piccola autonomia, conquista.

E a chi pensa che fare fisioterapia in una struttura per disabili sia riduttivo, vorrei far ascoltare i nostri discorsi incomprensibili agli altri ma non a noi, le nostre musiche preferite, le nostre variazioni sul tema per ogni esercizio, i nostri incoraggiamenti, i nostri scherzi e le nostre battute sulle piccole manie di ognuno, operatori compresi, il nostro essere talvolta politicamente scorretti perché per noi la normalità è proprio la diversità. E vorrei far sentire le nostre risate….

Siamo spesso le loro gambe, le loro braccia e le loro mani, e in queste gambe, in queste mani e queste braccia, in NOI, è imprescindibile che abbiano fiducia.

Chiara Molinari