PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°15 “La storia di Donatella Sciascio, preziosa risorsa dei nostri servizi semiresidenziali psichiatrici”

Dal sociale alla psichiatria, in un cammino di approfondimento costante

Sono in pensione da pochi giorni. Sono diventata Assistente Sociale in un momento storico in cui quel ruolo aveva un significato particolare, per alcuni versi “di avanguardia”: nel 1977, lavorare in un consultorio familiare, un servizio di nuova costituzione, allora voleva dire lottare per i diritti di cittadini fragili che avevano poco spazio e poca attenzione, mentre avevano bisogno di ricevere sostegno e fiducia.

Dopo quella esperienza, ho cambiato settore, dedicandomi a un’attività commerciale: mi occupavo di tessuti e arredi per la casa, quindi comunque qualcosa che aveva a che vedere con l’accoglienza, con l’ambiente di vita che si desidera confortevole per sé e per gli altri, relazioni con le persone, seppure in contesti molto diversi.

In Anteo sono entrata dopo un colloquio con il Presidente e la Vicepresidente e la prima destinazione è stato il Centro Diurno Psichiatrico, che allora era a Cossila, una frazione di Biella. Era una grande casa, con un prato molto esteso e una vista stupenda. Ricordo il primo giorno: sono stata accolta dai colleghi in modo meraviglioso… e insieme ci siamo confrontati con un problema pratico che si è trasformato in una opportunità per conoscerci: la corrente elettrica era saltata, gli alimenti in freezer si erano scongelati, e così, operatori e utenti, ci siamo adoperati per ripristinare il tutto. Gli utenti erano un po’ meno numerosi rispetto ai flussi attuali e l’ambiente del Centro Diurno era simile a quello di una famiglia.

Mi piace pensare al mio lavoro come un continuum fatto di ingressi in punta di piedi nelle vite di tante persone, delle loro famiglie, nella quotidianità. Con ciascuno di loro, ho cercato di stabilire un primo contatto attraverso una parola, un gesto, uno sguardo, con rispetto e attenzione; spesso, a partire da lì, abbiamo costruito relazioni di fiducia e di condivisione anche molto profonde.

Lo “slittamento” dalla funzione tipica dell’assistente sociale verso un ruolo di tipo educativo è avvenuto in modo naturale, facendo squadra con i colleghi del Servizio: solo lavorando davvero insieme si possono affrontare le difficoltà e la condivisione delle esperienze e delle modalità di relazione e di lavoro armonizza, sfuma i confini fra i ruoli “ufficiali”, modifica, arricchisce al di là delle etichette.

I colleghi sono stati davvero tanti, negli anni, con alcuni mi sono sentita parte di un tutto;  l’équipe che ho lasciato è coesa, competente e motivata, aspetti non del tutto scontati, relativamente giovane e con una giusta dose di vitalità ed esuberanza, piena di idee e progetti per il futuro, insomma ho passato il testimone volentieri.

Al servizio della salute mentale: un lavoro non per tutti

I servizi per persone con patologie psichiatriche hanno rappresentato la mia storia professionale, anzi umana in senso complessivo. Per parecchi anni, Anteo mi ha anche offerto la possibilità di lavorare nell’ambito dei servizi territoriali per le persone disabili. La disabilità e la psichiatria sono due mondi completamente diversi, accomunati dalla sofferenza di famiglie spesso disorientate, affaticate, a volte in attesa di un “miracolo” o di svolte che difficilmente si possono verificare nei tempi e nei modi che loro desiderano. I primi tempi, mi è capitato di sentirmi impotente di fronte a questo dolore. Il compito, molto delicato, di noi operatori è anche quello di condurli a un contatto con la realtà il più possibile sereno.

Il lavoro in psichiatria non credo sia adatto a tutti: in particolare, se si hanno dei “nodi” irrisolti importanti, si rischia di accumulare sofferenza, di sommare i problemi propri a quelli degli utenti e quindi di non svolgere bene la propria funzione. Chi  opera con il disagio mentale, a mio avviso, dev’essere ben motivato, capace di distinguere la sua vita privata da quella professionale e soprattutto essere in grado di ascoltare, ascoltare e ascoltare, non solo sentire, bisogna andare oltre le parole. Questa è un’attitudine che si ha e si allena al di là della formazione in senso stretto, giorno per giorno, attraverso l’esperienza.

Il Centro Diurno come servizio-chiave dei percorsi riabilitativi

In Centro Diurno il numero di utenti da seguire è molto elevato (in certi periodi anche più di 100), l’impegno nella relazione è lo stesso, così come la necessità di operare con efficacia e flessibilità in équipe.

L’obiettivo riabilitativo di un servizio diurno è essenzialmente evolutivo e sinergico rispetto ai servizi residenziali, l’autonomia e il benessere della persona possono essere costruite insieme solo se funziona bene il “ponte” fra servizi e contesto sociale “esterno”. A volte però è necessario confrontarsi anche con quella cronicità che può apparire come “stagnazione”, “non crescita”, “non miglioramento”, ma che in realtà può rappresentare un punto di equilibrio, una condizione in cui la persona riesce a non vivere più molte crisi e a trovare una forma di esistenza accettabile. In queste situazioni, il Centro Diurno funge da “rifugio protetto”, in cui i legami e le routine sono rassicuranti e quindi importanti, in cui chi vive solo ha l’occasione di calibrare esperienze di socialità e chi vive in famiglia può confrontarsi con un ambiente diverso da quello abituale.

Il nostro compito è quindi stimolare gli utenti a uscire, a interagire con la comunità locale, rispettando, al contempo, l’esigenza di comfort che la persona manifesta. Partendo dalle indicazioni dei medici psichiatri che inviano i pazienti in Centro Diurno e ancora e sempre dall’ascolto, da un periodo di osservazione e interazione, si definiscono obiettivi e strumenti, si verificano man mano, insomma ci si reinventa spesso, perché le situazioni evolvono e il percorso è lungo.

Le attività e le esperienze laboratoriali che abbiamo realizzato negli anni sono davvero numerose: servono tante idee e soprattutto tanta attenzione a cogliere e sviluppare i desideri e le capacità degli individui e dei gruppi.

Ricordo in particolare un’attività di cucito e riuso creativo di stoffe che dava agli utenti la possibilità di uscire in gruppo per approvvigionarsi del materiale e poi per proporre i manufatti realizzati internamente al circuito di servizi Anteo e in mercatini e fiere: un laboratorio che si autofinanziava grazie a libere offerte.

Oppure “Specchio delle mie brame”, in cui ci si prende cura di sé non solo ponendo l’attenzione sull’igiene personale, ma si apre lo sguardo sulla valorizzazione del proprio aspetto e della propria immagine. Molti pazienti psichiatrici perdono il piacere di guardarsi allo specchio: si vedono brutti, grassi, usurati dal tempo e dalla sofferenza. Il laboratorio stimola a dedicarsi regolarmente alla pulizia del viso, al taglio e alla tintura dei capelli, alla manicure, anche a prestare attenzione alla scelta e all’abbinamento degli abiti. Si creano delle splendide dinamiche fra pari, gli utenti si aiutano a vicenda a riappropriarsi della loro immagine.

Apprendimenti e tracce che nutrono

Negli ultimi giorni di lavoro, ho ripensato a tutti gli utenti che ho conosciuto, alle loro fragilità, alla paura di mettersi in gioco, alla gioia dei piccoli traguardi, riscoprendosi capaci di stare insieme, uscendo finalmente da casa dopo lunghi periodi di ritiro sociale, consapevoli delle debolezze ma anche delle potenzialità… Gli incontri sono stati molti: mi rimane il sapore di un grande gruppo che si è costruito negli anni, nella mia memoria.

Rivolgo un ricordo particolare a chi si è tolto la vita. Li ho impressi nella memoria… Erano persone che spesso non frequentavano più il Centro Diurno, pur essendo stato indicato dal loro medico come servizio adatto e utile. Si tratta di scelte che siamo costretti accettare, perché naturalmente nessuno è obbligato alla frequenza, la libertà individuale deve essere rispettata. È un grande dolore, un continuo interrogarsi su che cosa non si è colto, che cosa non si è capito, che cosa è mancato… La vera domanda è: abbiamo fatto tutto il possibile per evitarlo? Domande che portano a riflettere, a crescere, a riprogettare continuamente.

Ma ricordo con altrettanta emozione anche chi “ce l’ha fatta”, chi si è ripreso la propria vita trovando una nuova motivazione nel lavoro: utenti che venivano al Centro Diurno, hanno seguito percorsi di tirocinio e poi sono stati assunti. Quando vado a fare la spesa, vedo in cassa un ragazzo, con problematiche serie quando frequentava il nostro Servizio, ora è attivo, radioso… Beh, è una festa!

Uno degli aspetti del mio lavoro che porterò sempre con me è la relazione con persone che soffrono, ma che hanno anche una grande voglia di fare, di uscire dal disagio; ho incontrato persone con una forza di volontà incredibile e questo mi ha a volte aiutato a superare le mie personali difficoltà.

Un altro insegnamento che terrò con me riguarda la giusta misura che deve avere il coinvolgimento emotivo nelle relazioni di aiuto: l’empatia dev’essere un elemento costruttivo, positivo, non deve travolgere, altrimenti risulta controproducente per tutti i soggetti coinvolti.

Un congedo con il sorriso

I ringraziamenti che provengono dal mio cuore sono molti. Uno speciale va a Mariarosa [Malavolta, Vicepresidente; n.d.r.], per la sua sincerità e la sua severità: è stata la voce di chi non “gira attorno” ai problemi, ti fa riflettere, ti orienta all’autocritica, magari in modo duro, ma nello stesso tempo, nei momenti difficili, sa offrire concretamente la comprensione che ti occorre.

Grazie, Anteo: è stato un viaggio che nel 2002 non immaginavo mi avrebbe portato così lontano. Sono felice di esserci stata e spero di aver dato un piccolo ma utile contributo!