PICCOLA NOTA DI METODO

Generare un significativo e percepibile impatto sulla qualità della vita sia delle persone destinatarie degli interventi che pone in atto sia delle comunità alle quali esse appartengono, sul breve, medio e lungo termine: questo è l’obiettivo di Anteo. L’identificazione di questo scopo come prioritario orienta l’intenzionalità di tutte le nostre progettualità e iniziative in maniera attiva, consapevole, sistematica, continuativa e coerente.

La sfida che Anteo affronta consiste pertanto nel porsi come agente di cambiamento in grado di avviare, strutturare e consolidare processi di miglioramento sociale misurabili nei loro esiti e sostenibili nel corso del tempo, anche attraverso la riattivazione delle proprie risorse autonome da parte dei soggetti coinvolti. Questo è il senso che Anteo dà alla missione di Cura delle persone e delle relazioni che ha assunto come propria fin dalla sua fondazione.

Attuare azioni di ascolto competente dei bisogni, progettare interventi finalizzati a obiettivi sostenibili e realmente motivanti, mobilitare risorse, agire per sensibilizzare: queste sono le direttrici attraverso le quali le energie di Anteo si sono espresse per trasformare i percorsi esistenziali degli utenti, la qualità delle loro relazioni e le dinamiche delle loro comunità di riferimento.

I testi #STORIEDIMPATTO nascono da interviste ad attori testimoni privilegiati di questi processi, condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni. Non troverai un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce che l’azione di Anteo, vale a dire dell’organizzazione Anteo e delle sue persone, genera giorno dopo giorno.

#storiedimpatto n. 4: Non abbattersi mai anche se le difficoltà sono tante, fermarsi per raccogliere le energie e ripartire: la storia di Caterina, un esempio di forza, perseveranza e fiducia in sé stessi.

Un momento cruciale

Era il 2012 e stavo vivendo una delicata fase della vita: mi trovavo a 46 anni, a 3 dall’intervento per un tumore al seno, in una condizione di fragilità. Mi stavo facendo aiutare per superare una depressione legata soprattutto a terapie molto intense che riportavano la mia memoria, mente e corpo, a quando, ragazzina, avevo già vissuto un percorso di malattia e di cura per una leucemia. Proprio appena prima del tumore, ero in procinto di riprendere a lavorare nel mio settore di elezione, le pulizie, dopo un periodo in cui le attività della mia ditta erano rallentate, in parte per la perdita di appalti in parte per alcune chiusure; insomma, ero pronta alla ripresa, quando il tumore mi aveva bloccata. E nel 2012, superata l’ennesima crisi, avevo bisogno di ricominciare davvero confrontandomi anche con le limitazioni legate al decorso clinico: non potendo più fare sforzi con il braccio, il settore delle pulizie mi era precluso.

Lo psichiatra che mi stava seguendo mi ha proposto una realtà che non conoscevo, quella della riabilitazione lavorativa. Ho pensato: proviamo!

Le attitudini e le passioni

Mi sono dedicata alle pulizie per molti anni. A 19 anni avevo provato il lavoro in fabbrica, ma ero a contatto con sostanze chimiche sconsigliate per chi come me ha un trascorso di leucemia. Ho fatto le pulizie presso varie famiglie e presso esercizi commerciali, la baby sitter, l’operatrice di call center. Ma la mia passione è il teatro: allestire scenografie mi ha sempre dato tanta gioia! Mio papà, che era molto bravo a costruire con il legno, mi portava al cinema e da bambina mi sono appassionata. In cortile giocavamo in nove, nove bambini che si divertivano con le scene che allestivo con le lenzuola della mamma, che faceva la sarta, e tutto quello che riuscivo a raccogliere; invitavo anche i miei compagni di scuola, ai quali proponevo piccole confezioni di caramelle e confetti che preparavo per venderli a 100 lire insieme all’ingresso per il mio “teatro”. La creatività è rimasta una mia caratteristica.

Dalla paura alla fiducia

Al primo incontro con gli operatori del servizio di Riabilitazione Lavorativa Anteo ero emozionata. Avevo paura di non riuscire a fare quello che mi avrebbero chiesto. Un operatore mi ha accompagnata alla residenza universitaria di Città Studi, qui a Biella: avrei dovuto lavorare nell’ufficio, occupandomi soprattutto di archiviazione. L’accoglienza è stata calorosa, mi sono sentita subito benvoluta e in poco tempo hanno capito che ero una persona fidata; così i miei compiti si sono ampliati, ho seguito anche la manutenzione, la contabilità e anche la riscossione degli affitti dagli studenti. Mi hanno dato delle responsabilità crescenti.

Dopo 6 anni, nel 2018, ho dovuto cambiare perché il servizio non faceva più capo ad Anteo. Ho sperimentato alcune mansioni di tipo manuale, di assemblaggio e confezionamento, per poi approdare a un incarico in ufficio: inserimento dati, reception, smistamento telefonate. Quello che faccio ora.

All’inizio, non mi sentivo all’altezza. Avevo delle paure. Per superare quei momenti, mi concentravo su quello che potevo dare, anziché su quello che non riuscivo a dare, e mi ripetevo: “Sono qui per imparare. Mi insegnano e io scopro cose nuove, imparo. Faccio.”

Adesso ho maggiori sicurezze, ma cerco comunque di non fare troppe cose insieme perché ho paura di confondermi e di sbagliare. Ogni tanto trascorro dei periodi di controllo per le terapie. Mi capita di sentirmi esposta a emozioni forti che turbano i miei equilibri. Mi capita di sentire una specie di tensione che devo tenere a bada, ma non scivolo più nelle crisi di sconforto cui a volte ero preda nel primo periodo.

Quali risorse nelle difficoltà?

La fede e gli amici mi hanno aiutata molto. Studio la Bibbia da circa 30 anni: contiene indicazioni importanti, anche per la vita di tutti i giorni. E mi piace il contatto con le persone, sono loquace e per me è l’amicizia è fondamentale: cerco sempre di ricomporre eventuali frizioni attraverso il dialogo, il confronto aperto, per evitare malintesi. Anche lavorare in gruppo mi piace. Mi piace condividere, partecipando a occasioni conviviali con i colleghi, preparando una torta di mele per tutti oppure dolcetti con la ricotta o portachiavi fatti a mano.

E poi, c’è mio marito. L’ho incontrato mentre facevo la chemioterapia. Ero magrissima e senza capelli; lui veniva in visita in ospedale da un’amica, con un suo amico. Ero abbastanza sola in quel periodo, non potevo né studiare né lavorare. Mi sono innamorata della sua gentilezza. Anche perché lui si è innamorato di me mentre ero un po’ malconcia… Siamo stati vicini l’uno all’altra nelle difficoltà cui la nostra salute cagionevole ci ha messi di fronte.

Ora nei momenti più faticosi, non mi abbatto: mi attivo! Mi fermo un istante, il tempo che mi occorre per raccogliere le energie, e poi riparto.

Il senso del lavoro

Per me prima di tutto vengono la salute e la famiglia, ma anche il lavoro è importante: serve per la mia autostima e per contribuire alle spese di tutti i giorni. Il lavoro mi ha aiutata a sentirmi utile per la comunità. Oggi sono capace di fare qualcosa che non pensavo di riuscire a fare, come per esempio lavorare al computer. Prima ero in grado di fare altre cose: lavorare a maglia e all’uncinetto, realizzare oggetti di bricolage, dedicarmi ad attività creative, gestire archivi cartacei… Ho imparato cose nuove perché volevo. Prendevo appunti e memorizzavo. E ho anche avuto dei bravi insegnanti, competenti, pazienti.

Siamo soggetti fragili. Io mi sento disabile. Per esempio, ho un problema a un occhio, dovuto a un trauma che ho subito, e così la mia vista è sdoppiata. Mi sento di far parte di una categoria di persone che non hanno potuto fare quello che volevano. Ma mi accetto come sono. Vorrei poter fare qualcosa di più, avrei voluto essere diversa, ma ho queste caratteristiche. Sono le mie. Sono così e mi voglio bene così. Mi piace anche divertirmi, prendermi un po’ in giro, per esempio scherzando con i bambini che mi guardano disorientati per i miei occhi divergenti.

Voglio sentirmi utile, non essere un peso. E sentire l’autostima che cresce, recuperare la fiducia in me stessa mettendomi alla prova attraverso il lavoro. Quando una persona disabile lavora, anche la loro famiglia è felice, come tutte le famiglie che vedono i loro figli realizzarsi. I miei mi hanno sempre spronata a fare tutto in modo autonomo: mi hanno dato innanzitutto la loro fiducia. E oggi sono fieri di me. Come lo sono io. Abbiamo degli svantaggi, ma non siamo una causa persa: dobbiamo ricordarlo sempre, a noi stessi e agli altri, attraverso il nostro impegno e le nostre azioni.

 

di Roberta Invernizzi