In occasione della Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo, incontriamo due Educatrici Professionali che lavorano con persone con autismo: Angela Salerno, Educatrice Professionale Anteo del Servizio Autismo di Venaria Reale (TO), ci parla di un ruolo delicato e in continua evoluzione; Emanuela Mazza ci aiuta a capire quanto la ricerca possa aiutare a progettare e offrire servizi e soluzioni sempre più adeguate ai bisogni

 

L’esperienza di Angela

L’incremento della richiesta di servizi specifici

L’esigenza di creare un servizio specifico di trattamento autismo nasce, nell’ambito della collaborazione tra ASLTO3 e il Consorzio C.I.S.S.A. di Pianezza, dalla spinta motivazionale di una piccola équipe di Educatori che hanno sentito l’esigenza di progettare e realizzare interventi educativi specifici per rispondere ai bisogni di un crescente numero di persone con ASD (Autism Spectrum Disorders) prese in carico sul territorio.

Le prime esperienze della nostra Cooperativa nel trattamento specifico dei disturbi dello spettro autistico risalgono a circa 6 anni fa e in questo periodo si è fatto urgente affinare strumenti e azioni nei servi. Si è verificato, infatti, un aumento significativo delle prese in carico sia di minori sia di adulti con ASD, con la conseguente necessità di interventi educativi e trattamenti specifici. Il contesto, quindi, ha richiesto ai servizi e alle figure professionali che vi operano di assumere una postura di apprendimento e di riorganizzazione concreta dell’agire educativo.

Una figura professionale in continua evoluzione

Nell’ambito dell’utenza di cui ci occupiamo, non esistono certo condizioni di serie A e condizioni di serie B, difficoltà prioritarie e difficoltà da trascurare. Tuttavia, il processo di trasformazione dell’utenza stessa, insieme all’introduzione da parte dell’Istituto Superiore della Sanità delle Linee guida sulla diagnosi e sul trattamento dei disturbi dello spettro Autistico, ha messo in evidenza la necessità di sviluppare nuove sensibilità e nuovi strumenti e ha portato noi Educatori a porci delle domande.

Ci siamo interrogati sulle caratteristiche e sulle competenze, acquisite attraverso l’esperienza e soprattutto la formazione, che la nostra figura professionale deve possedere per poter intervenire in modo efficace a supporto ai processi di trattamento di questa tipologia di presa in carico. Si tratta di sviluppare nuove consapevolezze, di conservarsi elastici, pronti a ridefinire almeno in parte la propria identità professionale.

Essere un Educatore che entra in una relazione educativa con persone con autismo vuol dire essere in continuo divenire, in continua crescita professionale. In continuo ascolto di bisogni ed esigenze anche distanti da quanto avviene abitualmente con persone con altre forme di fragilità.

Essere “Educatore Autismo” significa confrontarsi con situazioni in cui la persona con ASD, le famiglie, le istituzioni e tutti i soggetti coinvolti nel percorso educativo chiedono standard di prestazione molto elevati, caratterizzati dall’estrema personalizzazione di ciascun intervento.

La “cassetta degli attrezzi”

Il nostro confronto interno è approdato a una prima ipotesi di lavoro: serve una cassetta degli attrezzi rinnovata, ampliata, costruita sulla base di percorsi formativi ad hoc e alla luce dell’esperienza quotidiana. Gli obiettivi verso le quali dovremo orientare il nostro lavoro saranno:

  • creazione di setting adeguati al trattamento;
  • costruzione di modalità comunicative specifiche;
  • sviluppo e supporto a processi di ragionamento “diversi”;
  • attenzione alla dimensione sensoriale;
  • gestione della frustrazione derivante dal mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati o comunque gestire una lentezza di apprendimento cronica;
  • gestione dei comportamenti problema;
  • collaborazione con tutta la rete attiva sul caso;
  • supporto alle famiglie;
  • rielaborazione degli aspetti emotivi che condizioni di estreme criticità scatenano negli Educatori stessi.

CI stiamo lavorando e ci lavoreremo in maniera permanente, con il supporto della nostra Cooperativa e in collaborazione gli Enti territoriali!

L’esperienza di Emanuela

Una ricerca sull’uso della robotica educativa con bambini con disturbi dello spettro autistico

Ho avuto il piacere di partecipare a un progetto di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino, avente come tema “Robotica educativa & autismo – I robot come catalizzatori sociali”

Il progetto ha preso le mosse da due interrogativi: la robotica educativa può divenire strumento aggiuntivo per acquisire nuove abilità sociali nei bambini affetti da Disturbo dello Spettro Autistico? I robot possono fungere da facilitatori sociali, aiutando i bambini con ASD a comprendere emozioni e comportamenti altrui, migliorando la qualità della vita?

Gli strumenti diagnostici attualmente in uso hanno consentito di individuare un numero crescente di bambini con ASD. Le nuove tecnologie, parallelamente, stanno trovando ambiti di applicazione sempre più ampi e sfidanti. In particolare, la robotica educativa rappresenta un’area innovativa nel campo dell’istruzione e dell’educazione e sempre più ricercatori iniziano a identificare i robot come strumenti preziosi nei processi educativi, soprattutto per le persone che presentano bisogni educativi speciali.

Il progetto al quale ho partecipato si è posto l’obiettivo di fare una sintesi di quanto emerge dalla letteratura empirico-sperimentale circa l’efficacia dell’utilizzo della robotica come strumento nell’intervento educativo con bambini con ASD.

L’ipotesi di partenza è stata che i robot possano essere dei “facilitatori sociali” per questo tipo di utenti e li possano, in particolare, aiutare ad incrementare quelle abilità sociali indispensabili per le interazioni con gli altri.

Che cosa dice la letteratura

Per quanto concerne la robotica educativa, è stato fatto un lavoro esplorativo per comprenderne il funzionamento, le metodologie e gli sviluppi. Per quanto riguarda l’ASD, la ricerca si è focalizzata sulla compromissione dell’interazione sociale e le competenze ad essa legate.

Successivamente, sono state scelte le banche dati più rilevanti per la ricerca in ambito socio-educativo cioè Web of Science, Scopus e ERIC per analizzare casi studio in cui, attraverso l’utilizzo della robotica, vengono esercitate una serie di abilità sociali, indispensabili per l’interazione interpersonale (riconoscimento delle emozioni, il rispetto del turno, l’imitazione, l’autocontrollo, contatto visivo, attenzione) in bambini con ASD.

Dall’analisi condotta sulla letteratura e sui case study emerge che l’utilizzo della robotica educativa comporta dei benefici significativi per l’esercizio di diverse abilità sociali, come: comprensione delle emozioni, imitazione, rispetto dei turni, contatto visivo, attenzione, autocontrollo.

In questi studi il robot, non è stato mai inteso come un sostituto dell’essere umano ma come mediatore sociale in grado di colmare la distanza che si crea tra il mondo stabile, prevedibile e sicuro e il mondo complesso e imprevedibile della comunicazione e dell’interazione umana.

La maggior parte degli studi considerati si è soffermata sull’analisi delle potenzialità riabilitative dei robot sia all’interno di contesti riabilitativi già in uso in contesti clinici (es. ABA), sia all’interno di nuovi scenari riabilitativi i quali vengono strutturati a seconda delle esigenze, sia in situazioni di ricerca.

Comune alla maggior parte degli studi clinici è la possibilità di poter modulare e modificare la partecipazione del robot alla terapia secondo le esigenze riabilitative degli individui.

Una prospettiva che pare feconda

Comprendere e utilizzare le abilità sociali è l’area di sviluppo più impegnativa per le persone con ASD: esse sentono, vivono ed esprimono il loro affetto e le loro emozioni in modi diversi e personali, rendendo complicati gli scambi comunicativi, spesso causa di frustrazione.

Il sostegno dei robot sociali è risultato più efficace di altre terapie “tecnologiche”, come i videogiochi o le applicazioni: il robot incentiva l’interazione, indispensabile affinché esso funzioni. A differenza di altri strumenti come i software, che catturano completamente l’attenzione dei bambini, i robot umanoidi facilitano le naturali interazioni persona-persona.

I robot sociali consentono di aprire un canale comunicativo incanalando l’attenzione e innescando la messa in atto di nuovi comportamenti sociali. L’efficacia dell’uso dei robot come catalizzatori sociali risiede nel controllo della situazione: per un bambino con autismo è molto più semplice interagire con un “compagno-robot” perché rispetto all’interlocutore umano (imprevedibile nelle risposte), il robot può essere programmato dall’uomo in base alle esigenze del bambino creando, di conseguenza, situazioni relazionali prevedibili e rassicuranti dal punto di vista emotivo.