PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°12 “La testimonianza di Emmanuela, educatrice e pittrice”

20 anni di lavoro in Anteo

Sono in Anteo dal 1999, cioè da quando Anteo era ancora piccolina. Anteo ha accompagnato tutta la mia vita: all’inizio, avevo appena conosciuto il mio ragazzo, che poi è diventato mio marito. Per il nostro matrimonio, Anteo mi regalò una bellissima pianta, alta 1 metro e mezzo, che abbiamo ancora oggi.

La scelta degli studi e della professione

Dopo la maturità, ho deciso di studiare Scienze dell’Educazione per fare qualcosa nel sociale. Ho avuto una vita difficile, con tante esperienze dolorose; attorno ai 19-20 anni avevo due strade: o diventare una utente dei servizi oppure rimboccarmi le maniche e cercare di donarmi agli altri.

Sapere che cos’è il dolore è qualcosa che dà una prospettiva diversa come Educatrice: sapere che le parole non sono solo parole, che contengono e aprono mondi, mi ha cambiato la vita.

Ho iniziato al Centro Diurno Psichiatrico. Un’esperienza difficile, che mi ha formata molto. Anteo mi ha poi consentito di evitare il burnout, permettendomi di reinventarmi (che è un mio bisogno), e sperimentare servizi nuovi, in primo luogo l’Assistenza Specialistica Scolastica, rivolta a studenti con disabilità. È stata un’altra sfida interessante: si tratta di un ruolo che richiede varie competenze che ho potuto costruire ed “esercitare”, di gestione dei rapporti, di diplomazia nell’ambito del mondo della scuola.

Attualmente, sono attiva anche nel Servizio Territoriale Disabili e nel tempo si valuterà come calibrare la mia presenza nei due contesti: avere nuovi obiettivi mi sprona molto, mi dà più energie.

La scoperta della pittura

Nel dicembre 2013 sono scivolata sul ghiaccio e mi sono rotta un legamento. Per alcune complicanze, sono stata costretta a fermarmi per 9 mesi. È così che mi sono scoperta artista: per caso! Non sapevo di saper dipingere; sono sempre stata una persona creativa ma forse non avevo mai “canalizzato” questo aspetto, perché essere artisti richiede avere una grande libertà, sapersi lasciare andare… difficilissimo!

Ho iniziato a dipingere nel marzo 2014, con materiali di ogni genere. Mio marito mi ha aperto un profilo su Facebook e così ho cominciato ad essere contattata sia da privati sia da gallerie interessate alla mia produzione. Inizialmente ero incredula, poi ho acquisito più fiducia.

Quando vendi un quadro provi sia gioia sia dolore, ma soprattutto è bellissimo sapere di trasmettere delle emozioni e pensare che la tua opera rimarrà ai figli dell’acquirente, che lo terranno come “cosa bella”, significativa…

L’osservazione come chiave del lavoro educativo

Quella dell’Educatore è una figura complessa e poco capita. La base per il nostro lavoro credo sia l’osservazione: una competenza non sempre praticata da tutti i soggetti che stanno accanto alle persone con fragilità.

Ricordo che, in giorno di servizio come Assistente Scolastica, arrivai in aula mentre un ragazzino autistico era in piena crisi e stava lanciando oggetti di ogni tipo; in quel momento, aveva sollevato il banco e sembrava stesse per scagliarlo. Sono entrata e in un istante ho colto il senso della scena, seguendo lo sguardo del ragazzo e riuscendo così a individuare l’“innesco” del suo agito: una tapparella era alzata a un livello diverso dalle altre e questo dettaglio risultava di disturbo al ragazzo. Ho “sistemato” la tapparella e la crisi è immediatamente rientrata. Se non avessi attivato il mio spirito di osservazione, quasi un istinto, probabilmente non sarei riuscita a gestire la situazione.

Seguo un ragazzo non vedente che non riusciva ad apprendere l’uso del denaro ed era molto lento in questa pratica. Mi era venuto in mente di insegnargli a usare il portaeuro per le monete, ma era in difficoltà a percepire le dimensioni, non riusciva a distinguerle con certezza attraverso il tatto. Così, ho costruito un modello gigante, con del cartone e della colla a caldo: questo strumento lo ha aiutato molto, è riuscito a memorizzare i vari tagli e ora è molto rapido!

Il fatto di vedere le cose in maniera diversa, “laterale”, credo sia spesso vincente, nel nostro lavoro.

Ispirazioni e pratiche-guida

Fin da bambina, faccio un gioco che si chiama “il gioco della felicità”. Viene spiegato nei romanzi per bambini di Eleanor H. Porter che raccontano la storia di Pollyanna. Il gioco è molto semplice: consiste nel vedere il lato positivo in qualsiasi cosa; quando vivi un’esperienza difficile, quindi, devi assumere un approccio ottimistico e cercarne comunque l’aspetto positivo. Questo gioco, secondo me, mi ha salvata.

Un’altra mia fonte di ispirazione costante è la celebre frase di Anne Herbert: «Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso».

Credo profondamente nella bellezza: dobbiamo vederla, fermarci e coglierla! Anche nei ragazzi disabili, con la loro dignità e il loro diritto di essere e costruire bellezza. Dobbiamo solo aiutarli a farla uscire!