PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°19 ” In memoria della zia, in nome della vicinanza a chi soffre e costruisce il proprio futuro: Elena Rossacci, Educatrice Professionale presso CRAP Nuova Dimensione di Foggia

Una scelta germogliata nel profondo

Ho studiato a Bari, per non allontanarmi dalla famiglia oltre che per la passione per le discipline umanistiche, e lavoro da 16 anni presso la CRAP “Nuova Dimensione” di Foggia. La seconda laurea, come Educatrice Sanitaria, l’ho presa dopo la nascita della mia bimba, nel 2016: ne sentivo la necessità, per completare la mia preparazione, così com’era accaduto con il Master in Coordinamento, che ho concluso nel 2010.

La sorella di mia mamma è stata a lungo ricoverata presso un’altra struttura, ad Anzano, in cui ho svolto il mio tirocinio e dove poi sono stata assunta. Durante il suo ricovero a volte ho provato qualche momento di disagio perché accadeva che mi venisse a cercare durante le riunioni di équipe o in qualche modo confondesse un po’ il mio ruolo di operatrice con quello di nipote. Ma soprattutto era bello quando mi aspettava alla panchina, all’ingresso, e io le portavo le fave fritte.

Erano tre sorelle e il ritrovo era a casa nostra. Mi considerava sua figlia ed era orgogliosa di me: aveva studiato Medicina a Bologna, prima di ammalarsi. Ha trascorso 28 anni fra ospedali psichiatrici e comunità. All’inizio i pazienti mi facevano paura, poi mi sono avvicinata ed è nato in me il desiderio di offrire agli altri qualcosa di mio, di dare il mio contributo per realizzare la “rivoluzione” segnata dalla Legge 180.

Ricordo il mio primo giorno di lavoro: eravamo in sala da pranzo e un Ospite è stato colpito da infarto. SI è accasciato ed è morto. Purtroppo alcune persone sono deteriorate da percorsi di vita molto faticosi e presentano grandi fragilità… È stato uno shock, ma questa esperienza, per quanto traumatica, non ha smorzato la mia motivazione.

Mia mamma avrebbe voluto un altro percorso per me, forse per proteggermi. Ma io rivedo in ogni Ospite mia zia e mi comporto con loro come se avessi a che fare con lei.

Un’utenza in trasformazione

Nella CRAP “Nuova Dimensione” vivono 14 Ospiti e lavorano 14 Operatori.

I percorsi durano in genere 12 mesi, rinnovabili per ulteriori 6, ma c’è una certa flessibilità, in relazione agli obiettivi riabilitativi co-progettati con ciascuno.

L’età media è di circa 50 anni, ma ci sono anche Ospiti di 35 anni e uno di 74, trasferitosi da noi dall’Ospedale Psichiatrico. Gli Ospiti un tempo provenivano in prevalenza proprio da quelle realtà, mentre oggi vengono dal territorio e sono, in misura crescente, autori di reato. Il nostro lavoro quotidiano sta cambiando, abbiamo anche interlocutori diversi, oltre a quelli più propriamente sanitari, come il magistrato di Sorveglianza. Il progetto che si elabora è diverso, include elementi nuovi e ci richiede più flessibilità. Anche la fascia di età è spesso più giovanile. A volte ci confrontiamo con una certa aggressività, connessa soprattutto a disturbi borderline di personalità; è stato il caso, per esempio di un ragazzo sudamericano, adottato insieme a due fratelli, che ha vissuto nella nostra Comunità per tre anni. Si possono verificare situazioni delicate, in cui è necessario sapersi proteggere, per esempio rivolgendosi alle Forze dell’Ordine.

È importante avere autocontrollo: a volte ti verrebbe spontaneo “esplodere”, ma non puoi farlo, per il tuo ruolo e perché loro sono malati. Ho imparato a gestire le emozioni e l’istinto, con il tempo e l’esperienza sono diventata più riflessiva. Grandi conquiste: questo è un mondo in cui tutti apprendiamo, Ospiti e Operatori insieme.

Storie di costruzione

Poi ci sono altre storie, molto diverse. Quella di Barbara, per esempio. Ha 42 anni, è affetta da disturbi dello spettro autistico ed è molto dolce. Alcuni Ospiti vengono inseriti in percorsi lavorativi, per esempio con borse lavoro presso aziende agricole, oppure fanno esperienza come volontari.

Una signora eritrea ha lavorato presso un albergo per due anni, come addetta alle pulizie, spostandosi ogni giorno in autonomia, in treno.

Un ragazzo ha lavorato all’ufficio delle Poste vicino alla CRAP. È stato nostro Ospite per un anno e mezzo, era entrato per una depressione seguita alla morte della madre. Ci chiama ancora spesso!

Un altro Ospite scriveva poesie ed è riuscito a pubblicarle: ha realizzato il suo sogno. Le scriveva sui suoi quaderni, che chiamava “registri”, da quand’era bambino. Il tema principale era l’amore.

Poi ci sono anche le storie di fatica: un Ospite con problemi di dipendenza da alcol e patologie psichiatriche, per esempio, è arrivato con il pannolone, a soli 43 anni, talmente era in condizioni critiche; poi la situazione è migliorata e quando, in una fase successiva, ha capito che stava rischiando di ricadere nell’abuso di alcol, ce ne ha parlato, ha chiesto il nostro aiuto. C’è consapevolezza, insomma. E c’è volontà di tenersi fuori da certi problemi. Questo è molto importante.

Quando arriva un nuovo Ospite, provo sempre curiosità: ho voglia di conoscerlo. Il primo mese, di osservazione, serve per capire se la relazione del Centro di Salute Mentale lo ritrae fedelmente: la carta corrisponde alla realtà? Di solito sì, anche se alcuni arrivano compensati e la loro personalità emerge pian piano, nel corso del tempo. E così ci si conosce a vicenda.

Sono molto sensibile, empatica, e non riesco a essere autoritaria. Tendo ad assecondare piccole richieste, come un cioccolatino, un caffè o una sigaretta in più, un rotolo di carta igienica… A loro piace molto raccontare la loro vita, le fasi in cui stavano bene, per esempio. Si confidano. E a me piace ascoltarli perché vuol dire valorizzarli. E credo sia giusto farlo. Perché quello di Cura è un approccio che abbraccia tutta la persona: accogliere le emozioni e le paure, rassicurare, tenere in considerazione l’altro, dargli una dignità, badare anche all’abbigliamento e all’igiene della persona… tutto è importante, per riconoscere l’identità di ciascuno.

 

di Roberta Invernizzi